La festività del Natale è una tradizione del Cilento che pone radici lontane, mettendo al centro la famiglia, la comunità e le funzioni religiose. Ma è un periodo solennizzato anche con giochi, intrattenimenti in piazza o nelle case.
Le vecchie tradizioni vanno man mano perdendosi, oggi questo legame e/o attaccamento si sta smarrendo soprattutto nelle nuove generazioni.
Ma vediamo come si svolgevano le festività del Natale nell’ambito delle tradizioni del Cilento.
Nei nove giorni prima del Natale si svolgeva una novena nella chiesa parrocchiale, cui partecipavano numerosi abitanti. Essa iniziava tra le 4 e le 5 del mattino. E subito dopo tutti andavano al lavoro al lume di una jàccula (fiaccola). Essa era fatta di un pezzo di stoffa intriso di olio, legato ad una canna.
Qualche settimana prima della festa, si portava in piazza un grosso cìpparo (ceppo di pianta compreso le radici). Intorno al quale venivano posti fasci di legna e tròccani (grossi pezzi di legno nodosi), per farne un fòcaro (falò). In modo che le faglie (fiamme) salissero al cielo il più alto possibile.
Il fuoco, sia pure in misura ridotta, restava acceso sino all’Epifania.
Sempre alla luce delle fiamme del fòcaro le donne e i bambini giocavano a còcchia e sèparo. E gli uomini a parmo. Altri ancora a capo e croce (particolari giochi tradizionali). Altri passavano la notte a giocare a carte nella putéja (bottega – cantina) alla premèra, al tressette, a scopone. Oppure a briscola, alla calabresella, a quaranta, a bestia, alla scopa.
Se pioveva o il freddo era intenso, si passava la notte o parte di essa accanto al fuoco e si raccontavano antiche favole o si svolgeva qualche giochetto, in prevalenza il còcchia e sèparo.
Il fuoco che si accendeva in casa la sera di Natale era alimentato da uno o due grossi tròccani, in modo che non si spegnesse mai fino all’Epifania.
A mezzanotte, nella chiesa parrocchiale si concludeva la novena, mettendosi il bambino nella grotta del presepio o in un cestino-culla, esponendolo alla adorazione dei fedeli, sulla balaustra del presbiterio, mentre una stella di carta, tirata da corde, veniva fatta correre sulla testa dei presenti dall’organo, posto subito dopo l’ingresso e l’altare maggiore.
All’uscita, al lume di jàccule (fiaccole), ciascuno faceva ritorno alla propria casa.
Il mattino e nel pomeriggio del Natale si svolgevano accanite partite al gioco del casicavàllo.
Il pranzo di Natale era piuttosto abbondante, a base di pasta fatta in casa ed a preferenza làane, cavatiélli, maccarùni re casa, tagliariéddi. La carne di bovino raramente si riusciva a comprare e allora facevano le spese della festa conigli e galline, qualche lepre e cacciagione in genere, specie tordi. Giunti al dolce si aveva difficoltà nella sola scelta, in quanto abbondanti si portavano in tavola trìppiti, zéppule, scauratieddi.
Nelle festività del Natale una tradizione del Cilento è sicuramente il pranzo di Natale era piuttosto abbondante, a base di pasta fatta in casa ed a preferenza làane, cavatiélli, maccarùni re casa, tagliariéddi. La carne di bovino raramente si riusciva a comprare e allora facevano le spese della festa conigli e galline, qualche lepre e cacciagione in genere, specie tordi. Giunti al dolce si aveva difficoltà nella sola scelta, in quanto abbondanti si portavano in tavola trìppiti, zéppule, scauratieddi.
Nei giorni che seguivano, alcuni amici si riunivano ed a turno a casa di ciascuno si usava mangiare il prosciutto dell’anno precedente.
Alla cena partecipavano sempre anche le donne della casa ospite.
Sia il prosciutto e sia i residui di salsicce erano mangiate e accompagnate da lunghe sorsate di vino.
E’ proprio un peccato che queste usanze si vanno perdendo sempre più! Il vero spirito del Natale, forse, era proprio questo …
Vi abbiamo raccontato alcune tradizioni di questa terra. La festività del Natale è una tradizione del Cilento, ben radicata in ogni borgo.
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